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Appunti per famiglie affidatarie, genitori adottivi, altri caregivers
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Appunti per operatori che si occupano di affidi, adozioni, tutela dei bambini
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La fiaba che presentiamo è stata scritta inizialmente per aiutare un bambino, in modo delicato e graduale,
a dare senso e prepararsi all'esperienza di lasciare la famiglia affidataria e costruire il proprio
futuro in una famiglia adottiva diversa dalla precedente.
Il bambino aveva quasi 3 anni ed era stato per circa 19 mesi in un nucleo che l'aveva accolto, su
proposta dell'Equipe Affidi del territorio, in condizioni di emergenza per dargli immediata protezione.
La famiglia affidataria, che gli aveva dedicato affetto e cura, e continuava a dare disponibilità
per mantenere una relazione significativa a lungo termine, non era nelle condizioni di adottarlo.
Il bambino aveva ricevuto informazioni sulla situazione della propria famiglia d'origine, dopo che
l'aveva lasciata, nel modo che la sua età rendeva possibile da parte di uno degli operatori del servizio
che stava lavorando per un progetto di recupero delle funzioni di cura dei genitori biologici, progetto
rivelatosi poi non praticabile. Alla conclusione dell'affido il piccolo non incontrava più i genitori
da parecchi mesi.
Scopo della storia "Il coniglietto Nino" è stato di aiutarlo a prepararsi, poco prima del passaggio
all'adozione, alla realtà che stava per vivere, e di offrirgli una chiave di lettura che lo aiutasse
a spiegarsi quanto sarebbe accaduto, evitando anche che egli potesse tradurre il cambiamento in un
segno di abbandono e pensare che esso dipendesse da sua inadeguatezza o colpa (come di frequente
fanno i bambini che perdono i loro datori di cure).
La fiaba è costruita affinché il piccolo possa prefigurarsi la famiglia adottiva come il proprio
luogo stabile di crescita e di affetti per la sua intera vita fino all'età adulta, e per suggerirgli
che l'affetto costruito con la famiglia affidataria non va perso.
La fiaba è stata introdotta dagli affidatari (in accordo con i servizi) prima della spiegazione
concreta degli eventi e del modo in cui sarebbero avvenuti, ed entrambi i passaggi sono stati precedenti
al primo incontro con i genitori adottivi. Il bambino ha potuto esprimere dolore, rabbia (il lutto
per la perdita), incertezza e disorientamento, ed è stato accolto e accompagnato in questo percorso.
Successivamente ha mostrato anche curiosità, e tutto questo “lavoro preparatorio” ha favorito l'instaurarsi
della relazione con i genitori adottivi durante i primi incontri con loro.
La comunicazione metaforica, che dà il tempo di familiarizzare con una esperienza nuova attraverso
l'identificazione con il protagonista della storia, è non autoritaria, graduale e sintonica con il
pensiero infantile.
Essa ha permesso al bambino l'espressione delle sue emozioni e di alcune "riflessioni" senza che
il piccolo venisse bruscamente messo a confronto con (e forse schiacciato da) il cambiamento che
lo attendeva. Gli è stato proposto un senso per la sua vicenda all'interno di una cornice in cui
la "genitorialità sociale" (le decisioni che adulti protettivi prendevano per lui, sostanzialmente
il Tribunale per i Minori e la rete dei servizi) è rappresentata dal vecchio gufo del bosco che pensa
a lui e cerca per lui soluzioni buone.
Un'ultima considerazione riguarda alcune delle sequenze del racconto.
Nelle prime tre si narrano la nascita del cucciolo "in una tana vicino a un prato pieno di sole",
e poi le traversie della sua vita che hanno comportato la perdita della famiglia d'origine. Il bambino
ha bisogno di costruirsi un significato globale per la propria storia: in particolare quando sta
per andare in adozione è necessario che un adulto gli permetta di ripensare insieme i passaggi e
con lui si confronti circa il loro senso. Della famiglia d'origine si raccontano, in quelle tre sequenze,
sia alcuni aspetti problematici che alcuni buoni (rappresentati dal “prato pieno di sole”) per sostenere
uno sguardo retrospettivo globale, che riconosca le esperienze gravemente sfavorevoli, ma anche quelle
positive che sono state comunque presenti nel primo periodo di vita. Il testo cerca di non essere
un riattivatore traumatico rispetto alla prima perdita, dato che il compito presente del bambino
è affrontare un secondo cambiamento del contesto di vita. Tuttavia non nasconde le esperienze difficili
sperimentate e non mistifica. Potrà essere successivamente ripreso e questi primi cenni potranno
essere ampliati in modo adeguato all'età.
Nella sequenza 7 (testo e disegno) i genitori adottivi sono volutamente descritti nell'atto di cercare
e pensare al loro futuro bambino prima di incontrarlo (come è nella realtà dell'adozione): essi "contengono
nella mente" il cucciolo prima ancora di accoglierlo.
Si racconta poi che genitori adottivi e famiglia affidataria affiancano insieme il bambino (sequenze
8 e 9), fino al momento in cui egli va a vivere nella nuova casa. Da quel momento sarà la famiglia
affidataria ad avere il ruolo di pensare e amare il bambino senza più vivere quotidianamente con
lui. Sarebbe opportuno, a questo proposito, poter rassicurare il piccolo che gli affidatari continueranno
ad essere anche concretamente presenti con incontri. Il piccolo in questo modo può ricevere il messaggio
e sperimentare che i legami si sommano, non si annullano, anche se si organizzano in una gerarchia
chiara, in cui i genitori adottivi assumono il posto di gran lunga più importante e gli affidatari,
passano sullo sfondo pur restando significativi, un po' come accade con nonni o zii in una famiglia
estesa dove le relazioni siano coltivate.
La promessa di mantenere rapporti è in linea con la legge sulla continuità degli affetti (n° 173
del 2015), e con gli attuali studi, ricerche e riflessioni sull'adozione.
Ma è una promessa che non può essere fatta se non è certo che sarà rispettata, e solo per questo,
nell'attuale stesura del racconto, non è esplicitata. Il legame a cui il testo allude ("Tutti nel
bosco ti vogliono bene e noi non ci dimenticheremo mai di te") è quello del reciproco ricordo, della
crescita che adulti e bambino hanno permesso all'altro nella relazione vissuta insieme e interiorizzata:
ognuno conserva l’altro perché è diventato una parte dell’altro.
Poiché il libretto è rivolto a bambini che ancora non leggono, l'idea di mantenere degli incontri
tra affidatari e famiglia adottiva potrà essere inclusa nella narrazione, aggiungendo una frase nel
racconto. (es. " Coraggio coniglietto, vai sicuro! Ora hai una mamma e un papà che ti amano e ti
saranno sempre accanto e noi verremo a trovarti, mai ci dimenticheremo di te!")
Il libriccino è pensato per essere letto nella vecchia e poi nella nuova casa. Oltre a voler essere
uno strumento per il bambino, è diretto a sostenere la mentalizzazione e l'empatia (le capacità di
pensare alle esperienze intrapsichiche dell'altro e sintonizzarsi con esse) negli adulti, sia affidatari
che adottivi, in un momento in cui l'esperienza della perdita, con cui anch’essi si confrontano,
può indurre atteggiamenti difensivi.
Anche l'adulto, partendo da una fiaba, si prepara a dire quanto avverrà, comunicando senso e speranza,
descrivendo la famiglia affidataria e quella adottiva legate dalla continuità creata dall'interesse
per il bambino e dalla reciproca valorizzazione.
Il racconto potrà più tardi essere "dimenticato in un cassetto" e poi ripreso ogni volta che servirà,
per riparlare con il bambino e poi il ragazzo della sua storia. Ovviamene ad ogni età andrà aggiornato
il linguaggio e dettagliati i contenuti, che tuttavia, nelle linee essenziali, sono proposti al piccolo
sin dalla prima spiegazione perché egli possa sentire di potersi affidare ad una guida protettiva
e mai ingannevole.
Il racconto è stato successivamente usato anche con altri bambini, sempre di età prescolare come
il primo " Nino", mostrandosi strumento utile a favorire la comunicazione tra i caregivers e il piccolo.
La storia di Nino, qui presentata, nasce da molte riflessioni sull'affido, sull'adozione, sui percorsi
di tutela. Esse vengono qui solo brevemente tratteggiate, rimandando alla bibliografia in merito,
ormai molto ricca.
Ogni bambino per crescere ha bisogno di un adulto sentito come base sicura, cioè sensibile, responsivo
ed affidabile (Gherardt,S. 2007), (Tronick,E. 2008). L'esperienza delle relazioni con un caregiver
amorevole gli permette di sviluppare un'idea di sé come degno d'amore ed efficace, e dell'altro come
di una persona a cui ricorrere con fiducia (Bowlby,J.1982). L'introiezione di modalità relazionali
rispettose ed affettuose favorisce lo sviluppo di un sé sano.
Inoltre, in famiglie sufficientemente buone, il bambino sviluppa la capacità -per identificazione-
di porsi anch'egli costruttivamente, quando si trova ad avviare scambi con gli altri o a rispondere.
Ha appreso insieme ai propri caregivers, a "danzare tra dipendenza e autonomia", a esprimere se stesso
con creatività e libertà, a prendersi cura di sé e degli altri, ad assumersi responsabilità (Benjamin,
L.S. 2004), (Scilligo, P. 2009).
Se il bambino perde la sua figura di attaccamento principale, sperimenta ansia, rabbia e, almeno
inizialmente, difficoltà nel costruire un nuovo legame, anche se esso gli viene permesso dalla presenza
di nuovi caregiver.
Quando un bambino con un percorso di vita complesso viene allontanato da una famiglia gravemente
trascurante o maltrattante, anche se la relazione avuta è stata disfunzionale, la perdita è vissuta
ugualmente con angoscia (Vadilonga, 2010). Inoltre il modello del mondo che il bambino si costruisce
si sviluppa sull’attaccamento insicuro o disorganizzato nato durante le esperienze sfavorevoli, ed
incorpora anche quei modelli operativi interni che derivano dall’instabilità sperimentata: "Chi mi
sta vicino mi lascia. Io non sono degno d'amore; gli altri non sono affidabili. Mi terrò lontano
e baderò da solo a me".
Nelle situazioni in cui si rende necessario un allontanamento per la protezione di un bambino, abitualmente
egli viene posto in una casa famiglia, o in una comunità, o in affido familiare. A volte questo avviene
in tempi rapidi, perché la famiglia d'origine si trova in una condizione di improvvisa emergenza,
o viene conosciuta dai servizi pubblici solo quando giunge ad uno stato di emergenza.
In ogni caso, prima o subito dopo il collocamento del minore, il servizio avvierà un percorso diretto
al recupero delle capacità genitoriali della famiglia d'origine. Il bambino dovrà essere correttamente
informato ed aiutato a comprendere ciò che accade a lui e ai suoi, attraverso la condivisione della
"verità sostanziale" da parte di un operatore che costruisca e mantenga una relazione costante con
lui (Chistolini, M. 2003). L'operatore si pone in altri termini come adulto affidabile, che con delicatezza
esamina e spiega, sostiene con affetto, accetta il bambino nei suoi sentimenti e lo ascolta.
Tuttavia, anche se il bambino è informato e, per quanto possibile, consapevole, qualora il progetto
di recupero rivolto alla sua famiglia d'origine non abbia esito positivo, lo attende un passaggio
non facile.
E' necessario che egli trovi una collocazione definitiva, in genere in una adozione (“collocazione
in adozione” è un termine giuridico). Se è vissuto in una famiglia affidataria, questa può dare disponibilità
ad accoglierlo, e tale disponibilità verrà considerata in via prioritaria dall'autorità giudiziaria
(legge sulla continuità degli affetti, n° 173 del 2015).
Ci sono tuttavia a volte situazioni in cui la famiglia che ha svolto la prima accoglienza, disponibile
e individuata in una situazione di emergenza, non può divenire famiglia adottiva. In questo caso
il bambino dovrà affrontare una seconda perdita, un secondo passaggio che può consolidare i modelli
operativi disfunzionali su citati.
Anche il bambino che ha vissuto in una struttura comunitaria e in essa ha costruito (almeno dovrebbe
aver costruito) rapporti di attaccamento significativi, deve sperimentare un lutto.
Ogni essere umano attribuisce significato agli eventi e costruisce previsioni in base alla propria
esperienza: il bambino che ha perso la propria famiglia d'origine e lascia la famiglia affidataria
può consolidare l'idea di essere solo, con i sentimenti e le risposte conseguenti.
Questo può rendere più complesso lo stesso successivo percorso adottivo, perché l'aspettativa di
essere di nuovo lasciato può coinvolgere i nuovi genitori. Le risposte comuni all'esperienza avversa
e al doppio abbandono -comportamenti di ritiro, rifiuto, isolamento, manipolazione, dissociazione,
aggressività, ecc.- rendono più complesso ai nuovi genitori costruire risposte accettanti e sintoniche.
Se essi non intuiscono che il figlio sta rispondendo "alla propria storia" e agli introietti conseguenti,
ma leggono il suo comportamento come risposta a loro e rifiuto delle loro cure, si può innestare
un circolo vizioso: il figlio si tiene lontano per non essere ferito ancora - il genitore non si
sente adeguato - si allontana per non sentirsi ferito - il bambino sente la distanza e si allontana
... .
Inoltre il bambino che fa suo l'atteggiamento di non cura di chi l'ha abbandonato, può sviluppare
quegli atteggiamenti che spesso si riconoscono negli adolescenti adottivi, incapaci di accettare
guida e di darsi direzione, avventati, inconsapevoli dei propri bisogni (Chistolini, M.2015), (Scilligo,2009).
Riflettendo su tutto ciò e condividendo i pensieri e l’affetto per il bambino è stata costruita
questa storia.
Si voleva, nello scriverla, far sentire il piccolo accompagnato, non lasciato; trasmettergli un
progetto di stabilità che contrastasse il possibile modello operativo interno "tutte le relazioni
finiscono, non posso affidarmi". Le conseguenze dell'abbandono, su descritte, sono dannose; le conseguenze
di un cambiamento progettato ed accompagnato possono essere molto diverse, anche se il passaggio
rimane impegnativo.
Ovviamente, dopo che il bambino è stato aiutato dal racconto metaforico (la fiaba), dopo che ha
ricevuto spiegazioni realistiche, egli dovrà familiarizzare con la nuova coppia gradualmente ed essere
sostenuto da un atteggiamento positivo degli affidatari verso gli adottivi e degli adottivi verso
gli affidatari. Dopo il passaggio nella nuova casa, saranno opportune alcune visite degli affidatari
là (tendenzialmente senza che il bambino torni nell'abitazione degli affidatari- questo può essere
troppo difficile sia per lui che per i genitori adottivi).
Molti studiosi ed operatori che si occupano di adozione ritengono che i rapporti vanno successivamente
mantenuti, salvo specifici motivi ostativi. E' importante però che il quadro relazionale sia chiaro:
"i genitori" sono i genitori adottivi, il bambino non ha 4 genitori (o 6, contando anche i genitori
biologici), ma una mamma e un papà e altre persone con cui relazionarsi (Chistolini, M. 2015)
Scopo della fiaba è stato sostenere una comunicazione calda, affettuosa, che sapesse accogliere
il dolore e generare speranza (Meltzer, D; Harris, 1986)
Il racconto è stato successivamente usato anche con altri bambini, sempre di età prescolare come
il primo " Nino".
Data l'età dei piccoli a cui il libriccino è diretto, sono state particolarmente curate le illustrazioni,
più evocative di molte parole per i piccoli, anche per permettere al bambino, oltre che di condividere
il racconto con i suoi datori di cure- di sfogliarlo, " vederne" /prefigurarsi gli eventi e farlo
proprio.
Speriamo che possa essere utile ad altri bambini ancora.
Siamo disponibili ed interessate ad ogni possibilità di confronto.
Chi lo desidera può scrivere alle mail indicate accanto ai nomi degli autori.